mercoledì 27 febbraio 2013

4. Il ragno viola



Alex era impegnatissimo a sognare un esercito di bambine, tutte con la faccia della sua compagna di classe Victoria, quando sentì uno scalpiccio e un tonfo. Si girò e rimase a bocca aperta.
Appena si fu ripreso dallo stupore che l'intrusa gli aveva provocato, tentò di reagire.
«Esci dal  mio sogno!» gridò a sua sorella Laura. La bambina si osservò la punta delle scarpe per qualche secondo. Quando alzò il visino, però, il ragazzo scorse un bagliore strano nei suoi occhi.
«Mi hai chiamato tu»  rispose con voce un tantino assente «Adesso sono qui e se mi mandi via lo dico alla mamma. »
Alex sbuffò. Possibile che quella rompiscatole fosse sempre in mezzo?
Infilò una mano in tasca e tirò fuori un pacchetto di caramelle alla fragola. Sapeva che Laura ne era golosa e forse offrirle l'intera scatola sarebbe stato sufficiente a convincerla ad andarsene. La mamma non voleva che lei le mangiasse, per via della carie ai denti, ma quello poteva rimanere il loro piccolo segreto.
«Tieni Laura. Questo è per te»  disse, tendendole il pacchetto come se le stesse offrendo una gemma rara.
La bambina fece per aprire la mano ma subito sogghignò.
«E' inutile Alex. Non mi puoi mandare via. E poi la mamma non vuole che le mangiamo. E nemmeno papà.»
Alex pensò che in fin dei conti papà faceva quello che voleva la mamma, quindi non era lui il vero problema e improvvisamente si accorse di quanto Laura le assomigliasse.
Inattaccabile, fu la parola che gli venne in mente.
D'accordo, si disse, devo inventarmi qualcos'altro per ritornare alla mia amata solitudine sognante. Ma cosa?
Si guardò intorno e sorrise. Che diamine, in fin dei conti nel sogno si trovavano in giardino e in giardino, si sa, ci sono un sacco di insetti. Dal momento nel quale aveva deciso di intrufolarsi nel suo sogno, Laura si sarebbe dovuta arrendere al fatto di non poter controllare l'ambientazione delle loro avventure e quindi... 
«Mai sottovalutare la potenza dei sogni, Laura»  esultò fra sé.
Se c'era una cosa che sua sorella non sopportava erano i ragni. A lui, invece, non facevano particolarmente schifo.
«Sono il padrone dei miei sogni o no?» canticchiò, mentre il suo cervello partoriva una creatura a otto zampe dal dorso viola, punteggiato di macchioline nere.
Non so nemmeno se esiste nella realtà, pensò, ma adesso me ne serve uno, e subito.
Il ragno di Alex incominciò a lievitare come un muffin. Il bambino lo fece scendere lentamente dal tronco di un acero e quando Laura se lo trovò davanti lanciò un urlo da far tremare i muri.
«Accidenti. Forse ho esagerato... »  sussurrò Alex, mentre la sorella correva come un'ossessa verso la porta di casa chiamando la mamma.
Il bambino la osservò pensieroso finché non vide la porta richiudersi alle sue spalle.
«Missione compiuta. La rompiscatole se n'è andata» disse al compagno peloso che nel frattempo aveva incominciato a rilasciare bava biancastra dalla proboscide.
Speriamo che mamma non...
Si bloccò di colpo. No! Non era possibile. Quello era il suo dannato sogno e, a meno che LUI stesso non lo avesse voluto, non ci sarebbero state né sgridate e nemmeno punizioni.
Si sedette sull'erba, sollevato. Guardò il cielo ma dopo un po' si accorse che non riusciva più a muovere i piedi.
Le sue estremità erano avvolte in un bozzolo di filo bianco dai riflessi argentei.
Alex cercò di divaricare le gambe per alzarsi e scappare. La situazione (era chiaro) gli era sfuggita di mano e si era completamente dimenticato di far sparire il ragno.
«Hei»  gridò «vattene ragnaccio, vattene subito dal mio sogno.»
L'animale continuò imperterrito a tessere. Un po' come sua madre quando lo sfiniva con una delle sue solite ramanzine.
Alex continuò a gridare, fino a quando si svegliò.
Vicino alla guancia, sul cuscino, trovò un pacchetto mezzo vuoto di caramelle alla fragola.

sabato 26 gennaio 2013

3. Il Giardino dei Blackbone - III parte

John Blackbone entrò nello studio di Burton e si sedette. Il Console notò subito l’espressione tesa e preoccupata del suo segretario.
“Notizie da Henriette e i bambini?” chiese, sperando in una risposta che confermasse che stavano tutti bene.
John fece scivolare un involto di carta sulla scrivania fin sotto il naso del Console. Burton lo aprì: c’erano due buste. Una conteneva un telegramma, l’altra una lettera.
“Ho ricevuto tutto un’ora fa” precisò Blackbone. La posta, infatti, gli veniva recapitata una volta al mese.
Burton non mosse un muscolo e lesse il telegramma spedito da Nora tre settimane prima, pressappoco alla fine di luglio: Situazione grave. Stop. Urgente tuo arrivo. Stop. Bambini bene. Stop.
Il Console aggrottò le sopracciglia. Strano, pensò, se le cose sono gravi come mai la moglie non ha scritto nulla? La lettera, anche quella inviata da Nora, del resto aveva un tono completamente diverso rispetto al telegramma.

Caro John,
per prima cosa desidero scusarmi con te per il telegramma. Ti sarai preoccupato e per questo motivo ti scrivo una lettera, così da spiegarti per esteso cosa è successo e riportarti alla tranquillità. Sappi comunque che qui stiamo tutti bene e aspettiamo con gioia il tuo arrivo. La casa ha uno splendido giardino, ammirato dai vicini e dai conoscenti, tanto che si parla in giro di questo “giardino dei Blackbone” come di una piccola oasi nel cuore di Trieste… ma ritorniamo a noi e alla faccenda del telegramma.

mercoledì 23 gennaio 2013

3. Il Giardino dei Blackbone - II parte

Ai primi di luglio la casa era definitivamente risistemata e Nora pensò che un cane dal carattere dolce ma addestrato per la difesa era quel che ci voleva. Henriette all’inizio si mostrò perplessa per via dei danni che il giardino avrebbe potuto subire (i cani scavano, ripeteva) ma essendo Nora preparata a tali obiezioni passò un’intera settimana a sottolineare come due donne sole con bambini in una città sconosciuta fossero un ottimo bersaglio per ladri e malintenzionati in genere.
Sapeva che il carattere nervoso e pavido della cognata non sarebbe stato in grado di sopportare il minimo timore di un’aggressione e così le bastò mettere in evidenza tutte le notizie su furti e omicidi che riusciva a reperire presso amici e conoscenti.
Nel primo pomeriggio del 18 luglio 1870 Prince of Wales entrò nel giardino dei Blackbone scodinzolando e saltando intorno a Philip come un agnellino. Nora era andata a prenderlo dal cugino della signora Ananian, Pietro, che possedeva tre rottweiler, due maschi e una femmina. Il maschio più giovane era figlio degli altri due e avendo ormai quasi un anno e mezzo iniziava a competere con il padre per la supremazia nel branco. Cosa piuttosto pericolosa, perché prima o poi il cucciolone avrebbe sfidato a morsi il cane più anziano e Pietro non sopportava l’idea che uno mostrasse le zanne all’altro. Erano una famiglia, canina, ma pur sempre una famiglia. Così, durante un tè pomeridiano al quale erano state invitate anche Nora e Henriette, sapendo del loro progetto, Pietro aveva offerto Prince.

lunedì 21 gennaio 2013

3. Il Giardino dei Blackbone - I parte


Questo racconto trae spunto dalle conversazioni su sir Richard Burton (famoso esploratore, poliglotta, nonché console britannico a Trieste dal 1870 al giorno della sua morte) fatte con Mick Walton e Riccardo Cepach e dall'osservazione di una casa particolare, sita nelle vicinanze dell'allora residenza consolare (attuale villa Economo, ex villa Gossleth), e probabilmente tuttora dimora dell'ultimo console onorario britannico. 
La casa, ora in rovina, si trova in Vicolo delle ville (fra via Tigor e largo Promontorio) e qui vi ambiento la vicenda di Nora Blackbone, sorella del segretario del console sir Richard Burton, e della sua famiglia.


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Nora Blackbone sbarcò a Trieste nel giugno del 1870. Aveva lasciato Damasco dopo esserci vissuta per una decina d’anni insieme al fratello maggiore, segretario presso il consolato britannico, e alla di lui famiglia, composta dalla moglie francese Henriette d’Auvergne e due bambini di sette e cinque anni: Philip e Isabel.
John Blackbone aveva accettato di seguire in Europa il suo superiore, Sir Richard Francis Burton, sperando di rimettere piede in Inghilterra in capo a un paio d’anni e dare così ai propri figli quella che considerava un’educazione decente.
Nora, la moglie e i bambini precedettero John nel trasferimento con il compito di preparare la nuova casa e fu in quei sei mesi che alla donna si aprì il varco su un mondo che aspettava, silente, alle soglie della sua coscienza. 

2. Paradiso perduto

Of Mans First Disobedience, and the Fruit

Of that Forbidden Tree, whose mortal tast

Brought Death into the World.

(J. Milton, Paradise lost, Book I., Incipit)





1. Barbablù

Ogni settimana tenevo due aule, il martedì e il giovedì mattina.
Tra le mie alunne, Maddalena aveva una particolare autodisciplina, che la portava a seguire puntigliosamente le mie istruzioni su come utilizzare un programma di impaginazione.
Una di quelle mattine, dopo aver finito un esercizio di formattazione del testo, mi si avvicinò e mi disse di non aver capito un passaggio.
Guardai l’orologio: era tardi e, proprio quel giorno, lo sapevo, non ci saremmo potute fermare di più perché le postazioni servivano all’insegnante di web design per la lezione successiva.
Le proposi quindi di riprendere il discorso da un’altra parte, offrendole un caffè a casa mia, dove non avremmo avuto limitazioni di sorta nell’uso del PC.
Non appena fummo da sole, mentre stavo avviando il computer, sentii che il suo silenzio era carico di tensione.